In Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.291 del 16-12-2014, è stato pubblicato il decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, dell’11 agosto 2014 (Approvazione del manuale operativo per la gestione dell’anagrafe apistica nazionale, in attuazione dell’articolo 5 del decreto 4 dicembre 2009, recante: <Disposizioni per l’anagrafe apistica nazionale>.
Ci sono voluti ben cinque anni per conoscere le procedure della tanto attesa centralizzazione ed informatizzazione dei dati relativi al patrimonio apistico nazionale. Dice un vecchio adagio: meglio tardi che mai. Certo. Se al sopraggiungere del “mai”, finalmente, fosse stato configurato un quadro applicativo trasparente, inequivocabile, immediatamente attuabile.
Purtroppo così non è.
Si parte subito male.
Articolo 2, punto 1 del decreto de quo: all’attuazione delle disposizioni del presente decreto si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Davvero senza parole. Dopo ben cinque anni di riflessioni ed approfondimenti, il Decreto che dovrebbe risolvere una volta per tutte la gestione del patrimonio apistico nazionale – elemento di conoscenza “vitale” per ogni ipotesi di politica di settore – chiarisce, in questo passaggio in maniera davvero trasparente ed inequivocabile, che l’anagrafe apistica dovrà essere realizzata e gestita senza un euro di risorsa pubblica aggiuntiva.
E come si fa?
Addetti ai lavori, e non, sono perfettamente consci che le casse delle Aziende sanitarie – e quindi dei Servizi Veterinari – soggetti chiamati, di fatto, a gestire l’Anagrafe, non brillano certo per disponibilità in eccesso e tantomeno gli stessi Enti dispongono di personale in esubero, da poter impiegare a “costo aggiuntivo pari a zero” in nuovi servizi operativi come, per l’appunto, l’Anagrafe Apistica.
A meno che, si cambia tutto per non cambiare niente. Ovviamente solo per la parte pubblica. Perché l’applicazione delle procedure del manuale, per la parte privata, ossia per gli apicoltori, non sarà a “costo aggiuntivo pari a zero”. Quantomeno in termini di tempo da dedicare agli adempimenti necessari per il rispetto di tutti i passaggi amministrativi previsti.
Gli apicoltori sono ben disposti, almeno questo è il comune sentire, ad impegnarsi in tal senso, sempre che, pari disponibilità ed impegno sia garantito anche dalla parte pubblica.
Il pericolo infatti è che la “mancanza di risorse aggiuntive” non consentirà un passaggio corretto e tempestivo dei dati attualmente presenti nelle anagrafi regionali in BDA, che non sia garantita una adeguata formazione specifica al personale che sarà chiamato a svolgere i previsti controlli – con poteri sanzionatori in caso di accertamento di inadempienze – che il sistema non sarà oggetto di adeguato monitoraggio, quanto meno in fase di start up, per le verifiche di funzionalità, soprattutto in considerazione dei previsti collegamenti con le banche dati di AGEA e del SIAN (eventuali discordanze “telematiche” , dovute, ad esempio, a non corretta digitazione di dati, potrebbe causare il blocco o, addirittura, il rigetto di istanze di agevolazioni finanziarie a valere sulle misure del PSR).
Allora che fare?
Niente di nuovo sotto al cielo. Tocca a noi apicoltori, e nello specifico alle Associazioni degli apicoltori controllare, monitorare, assistere, insomma garantire che quanto prefigurato in questo articolo non si trasformi in realtà e gli apicoltori,a fronte di nuovi ed onerosi adempimenti, non ottengano alcunché in cambio.
Ancora una volta si conferma l’ipotesi che le principali criticità dell’apicoltura sono rappresentate, più che dalle avversità tecniche e di mercato che certamente non mancano, da un quadro normativo che appare inadeguato ed in pericolosa evoluzione, orientato sempre più verso una burocrazia ostile ed improduttiva che sta costruendo muri divisori sempre più consistenti tra apicoltura produttiva e mondo istituzionale.